lunedì 21 marzo 2011

Morphosis per Cooper Union a New York












L'edificio della Cooper Union dedicato ad attività accademiche si cela e si rivela al tempo stesso. È efficace nell’offrire spazi per laboratori, uffici e studi, pur riservando ampie aree a niente in particolare. È costruito utilizzando elementi standardizzati, eppure emerge sorprendentemente dal suo contesto.
Per questo progetto, che si estende su una superficie di 16.500 mq nel centro di Manhattan, Thom Mayne e Morphosis hanno dovuto ripensare il modo in cui spazio pubblico e spazi di lavoro privati si sovrappongono oggi nel settore accademico – e nella città contemporanea. La Cooper Union for the Advancement of Science and Art è un’istituzione unica nella storia americana dell’istruzione. Fondata nel 1859 dall’industriale e filantropo Peter Cooper, a cui erano mancati proprio i mezzi per conseguire un’istruzione superiore, quest’istituzione offre borse di studio totali ai suoi 1000 studenti di ingegneria, arte e architettura. Quando nel 2004 lo studio di Los Angeles Morphosis ha vinto il concorso, l’incarico non consisteva solo nel recuperare i 3700 mq persi nel ridurre gli spazi della scuola da tre a due edifici. Il progetto doveva anche rispondere alla sfida che tutti gli architetti devono oggi affrontare: come creare posti in cui valga la pena andare o, in questo caso, in cui valga la pena restare anche dopo la lezione. Mayne ha risposto scavando un atrio che, pieno di luce diurna, emerge come una torre dal cuore dell’edificio.
L’architetto spera che in questa “piazza verticale” di scale, spazi aperti, sale conferenza e terrazzi si svolgano quegli incontri spontanei e quelle interazioni che non possono avvenire attraverso il cellulare o Facebook. L’intento è stato realizzato con una piccola dose di coercizione fisica: gli ascensori si fermano solo al quarto e settimo livello. Per questo, la maggior parte degli studenti e degli insegnanti dovranno salire o scendere una rampa di scale per raggiungere le loro destinazioni, mescolandosi così lungo la strada con i loro colleghi. Esaminare da vicino l’edificio della Cooper Union ed esplorare i suoi interni significa capire che i suoi spazi pubblici ne sono la linfa vitale e che la sua leggibilità materiale è un piacere senza fine. In un’epoca di confini confusi fra spazio fisico e spazio digitale, fra oggetti creati dall’uomo e oggetti creati dalle macchine, fra comunicazione collettiva e personale, questo edificio propone una nuova gerarchia di spazio pubblico/privato, in modo da mettere il mondo accademico al passo con la rete dei contatti degli studenti di oggi. In termini di risposta pubblica, l’aspetto più dibattuto del progetto sono stati i pannelli in rete d’acciaio inossidabile che l’avvolgono. A prima vista, fanno sembrare l’edificio astratto come uno studio di massa di Hugh Ferriss, o privo di dimensioni come un ghiacciaio. Il 25% dei pannelli si apre automaticamente per lasciar passare la luce solare. Oltre a risparmiare energia, l’apparente monolitica armatura “ci consente di essere specifici riguardo a cosa vogliamo comunicare”, dice il vincitore del Pritzker nel 2005. Mentre dall’esterno i laboratori e gli uffici sono indifferenziati (tranne che di notte, quando il bagliore delle finestre traspare attraverso la rete), sul fronte ovest ampi tagli seguono i contorni dell’atrio a nove piani, sottolineandone l’importanza.
A livello della strada, la “camicia” di maglia metallica si alza tutto intorno per mostrare l’ingresso, spazi per eventi e gallerie pubbliche nell’interrato e negozi. “Per un sacco di gente sembra semplicemente qualcosa di diverso”, dice Thom Mayne a proposito dell’esterno dell’edificio, “ma io ci vedo qualcosa di intimamente connesso alla particolare natura del luogo”. L’architetto spiega che le linee taglienti e contorte della facciata occidentale sono state ispirate dalla forza della città e degli alberi che premono da Cooper Square verso la struttura. Inoltre, il nuovo edificio ha circa l’altezza (41 m) di quello storico sull’altro lato della strada in cui è ospitata la fondazione, ed è orientato verso il suo ingresso. All’interno, i pavimenti sono di cemento grezzo. I soffitti sono fatti con sistemi di pannelli modulari – ricordano gli esterni –, che inglobano la climatizzazione e sono flessibili, in modo da facilitare manutenzione e nuove configurazioni.
Tutti i laboratori e gli studi sono un esempio di semplicità funzionale. Le aree pubbliche, al contrario, sono libere da costrizioni funzionali. Vari materiali grezzi e geometrie idiosincratiche si sovrappongono e si incrociano animate apparentemente di volontà propria. L’atrio d’ingresso fa da palcoscenico per una convergenza non-euclidiana di lastre di cemento grezzo, impalcature sospese, soffittature di pannelli traforati in materiali compositi, muri a secco che si innalzano, pannelli di vetro inclinati e corrimano ondulati. La luce solare che penetra dai pianerottoli, dall’ingresso e dai lucernari consente di orientarsi. Nell’aria, una griglia in tensione si avvolge su se stessa e attorno all’atrio come un gigantesco esoscheletro.
Fatta di tubi d’acciaio racchiusi in gusci modellati in gesso rinforzato con fi bra di vetro (GFRG), la “mega-rete” modellata a computer è stata montata a mano nel corso di un anno ed è un simbolo della commistione di alta tecnologia e tecnica manuale che supporta il lavoro dello studio architettonico. Queste scelte vistose sono gratuite, ma divertenti. Nel contesto dello stile asciutto, utilitario dell’edificio, questi eccessi stravaganti potrebbero avere la capacità di stimolare di nuovo gli studenti a discutere su forma e funzione. Inoltre, riescono con successo – almeno fino a quando saranno nuovi – a infondere negli spazi pubblici quel desiderato gusto teatrale.
L’edificio raccoglie tre dipartimenti universitari che erano precedentemente ospitati in edifici separati: l’enfasi del progetto è stata condotta soprattutto sugli spazi comuni, e informali, che permettono lo scambio di idee e una vera e propria interdisciplinarietà. Per questo motivo, la circolazione ha definito quella che gli autori chiamano una “piazza verticale”, che diventa il vero e proprio nucleo centrale dell’intervento. La grande scala, accessibile dal livello della strada, si inerpica per quattro piani, raggiungendo una lounge a doppia altezza per studenti da cui si domina la città. Dal quinto al nono piano, un sistema di terrazze, sale di studio, armadiature e sedute è organizzato intorno al vuoto centrale. Per rafforzare la natura informale degli spazi di incontro, il sistema di ascensori si basa sul principio skipstop, fornendo accesso diretto solo ad alcuni piani. La pelle dell’edificio, realizzata con uno strato doppio di acciaio perforato, permette di ottimizzare il controllo energetico (l’edificio ha la certificazione LEED Gold) e di rendere visibili all’esterno le attività e la vita interna: la metropoli è letta come il grande teatro del quotidiano, dove il limite tra interno ed esterno, tra pubblico e privato diventa sempre meno netto.

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